Odio la globalizzazione

Odio la globalizzazione in ogni sua manifestazione, ma in particolare per la questione alimentare. Doveva essere una benedizione. Doveva estirpare la fame. Doveva portare benessere globale, e invece è riuscita solo ad aumentare il divario tra il primo e il terzo mondo. Come al solito, gira tutto intorno al soldo. Ha aumentato lo sfruttamento della manodopera a costo quasi zero, e tutto l’inquinamento che ne deriva. La merce deve fare migliaia di chilometri per viaggiare, attraversando mezzo mondo, e per arrivare sulla tua tavola a prezzo scontato. Essere irrorato con agenti chimici cancerogeni, per crescere e per non marcire. Tanto basta scrivere: “buccia non edile”, e il gioco è fatto. Mentre lo stesso prodotto lo trovi fresco dietro l’angolo dal contadino al mercato, e non è detto che il prezzo non sia basso. Almeno sai quello che ingerisci, sai chi favorisci e chi arricchisci, se un onesto produttore locale o la solita multinazionale criminale. Hanno congegnato un sistema insostenibile. Eppure non sarebbe impossibile, basterebbe che tutti coltivassero un orto sul balcone, sul terrazzo e degli spazi dedicati in comune, in cui ognuno, a seconda del contributo, ha diritto a una parte del raccolto. L‘autosufficienza e l’autoproduzione sono l’unica soluzione, in un mondo in cui il clima è in continua evoluzione, altro che globalizzazione… Non ha alcun senso comprare i limoni dal Sudafrica o le arance dalla Cina, quando in Sicilia ne buttano quintali per l’eccesso. Perché non hanno margine di guadagno o qualche legge criminale che ci obbliga a comprare dall’estero. Solo ritornare all’agricoltura naturale ci può salvare ed evitare lo sfacelo. Già se tutti si rifiutassero di acquistare quella merce, anche solo se tutti mangiassero frutta e verdura di stagione a chilometro zero, sarebbe già una vera rivoluzione verde.